PEOPLE, “gente”, è un’analisi profonda e segreta – in alcuni istanti forse serafica – dei contorni degli esseri umani, esponenti di una razza che nella società contemporanea viene sempre più esposta a un fittizio contatto, fatto di sharing fotografico, di giudizi, di gradimento, di ‘seguito’ e ‘status’, inventati e proporzionalmente sempre più circoscritti – spesso esiliati – a una solitudine sociale.
Solitudine / so•li•tú•di•ne/ *dal lat. solitudo-inis, der. di solus “solo”+.
La scena è frammentata in camere che diventano una chiara allegoria di case, corpi e menti: regna il perimetro di ogni cosa, seppur solitaria o sovrapposta. I confini sono definiti e raccontano la separazione fisica e mentale: non si patiscono e non si provano emozioni che non siano già conosciute, perché tutto quello che arriva è stato precedentemente riscontrato in un proprio vissuto personale. I DaCru indagano sulla straordinaria potenza (a volte violenza) delle distanze sociali, tema carissimo alla coreografa e già trattato in [zerocentimetri] (2019), messo in scena anticipando ciò che sarebbe poi diventato uno stato di fatto in tutto il mondo.
PEOPLE racconta come, in una spazio limitato e delimitato, ogni respiro diventi la ricerca di una piccola terra, di una “comfort zone”, dove si è ciechi a ciò che vive fuori.
Spazio / spà•zio/ *dal lat. spatium, forse der. di patēre “essere aperto”+ Una scena semplice e scarna, spogliata da effetti speciali: pochi oggetti quotidiani, minuscole stanze immaginate in uno spazio sconfinato: qui vive una straordinaria e densa folla di esseri viventi, separati ma allo stesso tempo troppo vicini per non desiderare di sentirsi uno.
“Ti sei mai sentito solo?”